S.M.S.C.C.
V E N E Z I A SOCIETA' di MUTUO SOCCORSO fra CARPENTIERI e CALAFATI "…
dal 1867, promuove il mutuo soccorso e la
solidarietà sociale a Venezia …" |
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Cenni storici sul mutuo soccorso.
Tra il 1700 e il 1800, la Rivoluzione
Industriale fu all’origine dello sconvolgimento dei precedenti assetti
sociali: la meccanizzazione del lavoro non necessitava più di competenze,
abilità e capacità creative. I lavoratori inurbati di estrazione contadina
vivevano nelle fabbriche l’intera giornata, in condizioni di precarietà
igienica e di insicurezza. Ma è proprio dal quotidiano contatto e dal
sentimento di condivisione dei bisogni che spontaneamente presero corpo
relazioni interpersonali forti, vincolate da patti associativi e
solidaristici di autodifesa. Nei primi decenni dell’800 nelle officine
e negli opifici maggiori del nord Italia erano limitatamente diffuse le
collette, casse-deposito alimentate dai lavoratori e gestite dal padrone che
doveva provvedere a sostenerli in caso di malattia. Altre forme di autoassistenza
erano perlopiù sporadiche e collegate all’esperienza delle confraternite e
delle corporazioni di mestiere. Le sovvenzioni erano di volta in volta
commisurate a donazioni o ad occasionali elargizioni, derivate dal buon
andamento della produzione, che venivano raccolte e distribuite senza norme,
senza alcuna regolamentazione partecipativa e democratica. Si trattava di
forme assistenziali di tipo caritativo che non coinvolgevano i lavoratori
nell’organizzazione sistematica delle tutele. Dal Risorgimento
all’Unità d’Italia È a partire dalle rivoluzioni del 1848 che
presero a fiorire decine di società di mutuo soccorso, particolarmente negli
stati sabaudi. Contrariamente agli stati dell’Italia centrale e meridionale,
dove i governi ripiegarono presto su posizioni reazionarie e repressive, il
sovrano piemontese, Carlo Alberto, non ritirò la prima carta costituzionale
del suo regno, lo Statuto Albertino che, all’articolo 32, concedeva ai
sudditi il “..diritto ad adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi
alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa
pubblica". Mancava pressoché ovunque una legislazione
sociale. Le imprese potevano disporre della manodopera liberamente, senza
alcun vincolo. Previdenza, prevenzione degli infortuni e tutela dei diritti
dei lavoratori erano concetti non contemplati nel ciclo produttivo. Piemonte e Liguria sono le regioni dove,
nel periodo preunitario, più intensamente il fenomeno mutualistico si diffuse
e si radicò, anche se mosso da motivazioni ideali diverse e ben identificate.
In Piemonte la borghesia liberale
moderata, in contrasto con la visione retriva dei reazionari e dei
conservatori, colse nelle società di mutuo soccorso gli strumenti idonei ad
ammortizzare il costo sociale del progresso e stemperarne le conflittualità. Animati da un illuminato spirito
filantropico e caritatevole, nobili e borghesi liberali favorirono la
costituzione di nuove società e si presentarono nella veste di benefattori
delle stesse: in realtà, nel ruolo di soci benemeriti o cooperanti, essi
assunsero funzioni direttive, di indirizzo e di controllo delle finalità
sociali. Versavano denaro alle società senza concorrere al godimento dei
sussidi; in cambio le società dovevano unicamente svolgere un ruolo
assistenziale ed educativo in forma solidaristica, mantenendosi laiche,
spesso assumendo un’impronta anticlericale, ma sempre dovendo escludere il
coinvolgimento politico e manifestare la fedeltà istituzionale. Politicizzato e mazziniano, il mutuo
soccorso in Liguria invece rivendicava l’autonomia dai controllori illuminati
e, per tutta la fase risorgimentale, non escluse la politica dai propri
interessi. Per questo la vigilanza governativa fu pressante: le minacce
repressive inducevano spesso le società liguri alla cautela e al mimetismo. I
capifila mazziniani agivano segretamente attraverso le società di mutuo
soccorso che rappresentavano il punto di raccordo tra la base operaia e i
gruppi dirigenti rivoluzionari. L’obiettivo primario di Mazzini era lo
stato unitario, libero e repubblicano, ma per attuarlo si dovevano
coinvolgere gli operai, sollevandoli dalle condizioni di profonda indigenza e
di iniquità sociale in cui la trascuratezza dello stato li aveva confinati. Tuttavia Mazzini, pur cogliendo la
contrapposizione tra borghesia e proletariato, non credeva nella lotta di
classe, né nelle azioni di forza degli operai, primo fra tutti lo sciopero.
Pensava piuttosto che la rivoluzione potesse essere sostenuta dal superamento
delle classi e dalla loro collaborazione attraverso il progressivo
avvicinamento del proletariato ai ceti medi. L’attendismo di Mazzini e
la sua resistenza a rendere i lavoratori protagonisti della battaglia sociale
per i diritti indebolirono progressivamente la corrente democratica,
soprattutto all’interno delle società operaie liguri, che vissero per questo
frequenti scontri e rotture intestine. Nel settembre 1864 fu fondata a Londra la
Prima Internazionale dei lavoratori che portò, anche in Italia, la questione
sociale su posizioni più combattive di tipo resistenziale, anarchiche bakuniane prima e socialiste marxiste poi. La minaccia
concreta della disgregazione dell’assetto sociale e politico costituito, fino
al compimento del comunismo andava oltre le enunciazione dei principi
politici repubblicani di stampo mazziniano. Al XII Congresso nazionale di Roma, nel
novembre 1871, fu annunciato il Patto di Fratellanza, tra le società operaie,
che secondo Mazzini doveva costituire la necessaria premessa per l’attacco
allo stato monarchico. Al contrario l’iniziativa compromise definitivamente i
rapporti con i moderati, mentre la debolezza con la quale si affrontò la
questione sociale, subordinandola all’imperativo repubblicano, causò il
definitivo allontanamento delle frange internazionaliste. Lo sviluppo della
mutualità Il 15 aprile 1886 fu promulgata la legge
3818 che riconosceva alle società di mutuo soccorso la possibilità di
acquisire la personalità giuridica. Furono dettate le condizioni essenziali
alle quali le società avrebbero dovuto attenersi nei rapporti con lo stato e
con le sue istituzioni: il soccorso ai soci come finalità, il risparmio come
mezzo, la mutualità come vincolo.
Negli anni ’80 e ’90 dell’Ottocento le
società di mutuo soccorso crebbero rapidamente di numero e in breve
costituirono una realtà corposa e ramificata su tutto il territorio
nazionale.
Nel 1878 esse erano 2.091 con un numero di
331.548 soci effettivi e la loro diffusione incominciò ad interessare anche
le regioni centro-meridionali, principalmente la Toscana, le Marche, Roma, la
Sicilia. La rilevazione statistica ministeriale del 1885 registrò un deciso
aumento che portò il numero delle società a 4.896 per un totale di circa
800mila soci effettivi, il 9% dei quali costituito da soci onorari e
benemeriti. Nel 1897 il loro numero in Italia era salito a 6.700: più
della metà avevano però meno di 100 iscritti. Le società di mutuo soccorso
sorsero ovunque, in quasi tutti i comuni, anche i più piccoli. Dopo il 1870
la nascita di nuove professioni e la concentrazione di quelle tradizionali
nelle città favorirono la diffusione delle società di mestiere, che erano
capaci di raccogliere un numero di iscritti limitato ma sufficiente a
garantire forme di assistenza economica ai lavoratori e, non di rado, a
sviluppare attività collaterali di servizio. Molte società avviarono attività di
microcredito per l’acquisto di attrezzi da lavoro e di beni di prima
necessità, attività ricreativo-culturali e scolastiche per i soci ed i loro
familiari e soprattutto iniziative nel campo dell’abitazione, dando vita a
imprese edificatrici cooperative, e del consumo, grazie alla realizzazione di
spacci alimentari. Lo scopo era quello di fornire derrate alimentari e
alloggi a prezzi vantaggiosi per proteggere il potere d’acquisto dei salari.
A fondamento di queste associazioni di
lavoratori era la comunanza dei rischi legati all’attività lavorativa
(malattia, invalidità, infortunio, disoccupazione o morte). Il bisogno del
singolo veniva ripartito tra molti ed il diritto al sussidio era automatico.
Un diritto acquisito con il versamento di quote mensili, che raramente non
venivano onorate nonostante i livelli salariali miserevoli: esse alimentavano
un fondo autonomo e le risorse non utilizzate venivano accantonate a riserva
indivisibile a beneficio delle future generazioni. In nessun caso era
possibile ridistribuire o spendere tra i soci la
riserva finanziaria o l’avanzo di fine anno. Tutto veniva finalizzato alla mutualità intergenerazionale
e, in primo luogo, all’edificazione della sede sociale, dove i soci si
riunivano nelle occasioni istituzionali e di svago. La sede di proprietà era
il simbolo dell’unione, dell’impegno, della responsabilità, dell’attaccamento
al territorio e alla comunità locale. La maggior parte delle società erano
maschili, circa un terzo erano miste, una piccola parte erano femminili: la
composizione della base associativa per sesso rispondeva alla diversa
capacità contributiva tra lavoratore e lavoratrice e alla maggiore incidenza
dei sussidi nelle donne, soprattutto legati al puerperio. La legislazione
sociale tra Ottocento e Novecento Gli scioperi e le manifestazioni di piazza
di fine Ottocento e inizio Novecento furono sostenute dal Partito socialista,
sorto nel 1892, dalle Camere del lavoro, dalle Leghe di resistenza e scossero
a tal punto lo stato liberale da indurlo ad assumere il ruolo di garanzia e
tutela del lavoro e dei salari attraverso l’emanazione di nuove leggi. Il 17 marzo 1898 fu istituita
l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro per i lavoratori
dell’industria, facendo seguito alla costituzione della Cassa nazionale
contro gli infortuni del 1883, mentre il 17 luglio del 1898 il Parlamento
approvò l’istituzione della Cassa nazionale di previdenza per invalidità e
vecchiaia, mostrando un approccio nuovo e più moderno al tema pensionistico.
Soltanto nel 1910 fu inserita, all’interno della Cassa nazionale per gli
infortuni, una sezione dedicata alla maternità e nel 1912 sorse l’Istituto
nazionale delle assicurazioni, che di fatto rappresentava il superamento
delle forme tradizionali dell’associazionismo mutualistico in favore di
schemi assicurativi in grado di garantire maggiore controllo da parte dello
stato. I bilanci delle società di mutuo soccorso
risentirono pesantemente del nuovo assetto legislativo: le società ormai da
tempo non rappresentavano le rivendicazioni politiche ed economiche dei
lavoratori, ma restavano comunque un punto di riferimento culturale e un elemento
di aggregazione capillarmente diffuso.
Il 29 ed il 30 giugno 1900 si tenne a
Milano il Congresso nazionale della previdenza fra le società di mutuo
soccorso d’Italia. Essa, sin dal momento della sua
formazione, si affianca sia al movimento cooperativo sia al movimento
sindacale - il cui giornale “Battaglie sindacali”è anche organo della nuova
Federazione - formando una alleanza allora fondamentale per l’affermazione
dei diritti dei lavoratori ed il sorgere della legislazione sociale. Sciolta con decreto prefettizio nel
periodo fascista, così com’era stato già fatto con le altre organizzazioni
democratiche dei lavoratori, nel 1948 la Federazione viene ricostituita,
accogliendo le società di mutuo soccorso sopravvissute, ed assume la
denominazione di Federazione italiana della mutualità (Fim).
Con la ripresa di attenzione alle forme di mutualità integrative al welfare
pubblico, dopo il congresso del 1984 la Fim diventa
Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria (Fimiv).
Allo scoppio della prima guerra mondiale
le società operaie si impegnarono nell’opera di assistenza verso i cittadini,
i soldati ed i loro familiari e misero a disposizione dell’emergenza bellica
strutture e mezzi finanziari. Nel biennio 1919-21 riprese violenta
un’ondata di scioperi. Negli anni ’20 la gran parte delle società soffriva
una fase di declino economico e di esaurimento dei fondi di riserva seguiti
al conflitto mondiale e alla progressiva riduzione del numero degli iscritti. Tra il 1925 e il 1926 il governo fascista
mise sotto controllo le istituzioni liberali. La gestione della previdenza
sociale fu definitivamente sottratta alle società di mutuo soccorso e l’unico
referente divenne l’Istituto nazionale di previdenza sociale; le società
operaie rinunciarono una dopo l’altra alla gestione delle casse-pensione per
i soci e persino alla facoltà di amministrare autonomamente l’assistenza
sanitaria ai propri iscritti, dovendo ricorrere obbligatoriamente al
sindacato medico fascista per la nomina del medico sociale. La legge del 30 dicembre 1926 dispose
l’unificazione delle società di mutuo soccorso nell’Ente nazionale della
cooperazione ed infine le società operaie furono definitivamente assorbite
dall’Opera nazionale dopolavoro, che tolse loro ogni residua motivazione
operativa. Nel 1934 fu ufficializzata la nascita delle mutue paritetiche di
natura corporativa, rappresentate in uguale misura dai lavoratori e dai
datori di lavoro e fortemente controllate e condizionate da interessi
economici e sociali di carattere generale. Durante il ventennio fascista molte
società operaie si sciolsero oppure si fusero in una strategia difensiva
estrema. La chiusura delle sedi per ordine del regime portò il più delle
volte al sequestro delle bandiere sociali, dei carteggi e persino degli
arredi; le violenze squadriste asportarono e dispersero i documenti degli
archivi e le biblioteche, non risparmiando neppure le società cattoliche. L’ulteriore
depauperamento fu prodotto dalla seconda guerra mondiale. Dal Secondo Dopoguerra ad oggi A partire dal dopoguerra la copertura
sanitaria dei lavoratori fu affidata ad enti mutualistici nazionali
obbligatori e di categoria, diversificati per livelli contributivi e
assistenziali, lontani dal concetto fondamentale di volontarietà delle
adesioni e di integrazione espresso dalle società di mutuo soccorso. Il 23 dicembre 1978 la legge n.833 istituì
il Servizio sanitario nazionale, che estese a tutti i cittadini il diritto a
fruire delle prestazioni assistenziali sanitarie in condizioni di uguaglianza
e di uniformità. Gli enti mutualistici furono soppressi e i relativi beni e
personale dipendente inglobati dal sistema sanitario pubblico. La mutualità volontaria
non fu toccata dal provvedimento, perché liberamente costituita e avente
finalità di erogare prestazioni integrative dell’assistenza prestata dal Ssn. Le difficoltà ad attuare appieno
l’organizzazione dei servizi a livello territoriale e il conseguente e
progressivo innalzamento dei costi del sistema pubblico resero però
necessario, dopo poco più di un decennio, un intervento legislativo di
riordino della disciplina in materia sanitaria. Fu emanata così la legge di riforma n. 502
del 30 dicembre 1992 che, per la prima volta, introdusse la costituzione di
fondi sanitari integrativi finalizzati alla erogazione di prestazioni
aggiuntive rispetto a quelle del Ssn. La legge n. 229 del 16 luglio 1999 ribadì
la razionalizzazione del Ssn allo scopo di “assicurare
una assistenza sanitaria di qualità, efficiente ed efficace a tutti i
cittadini, nel rispetto dei principi della dignità della pesona
umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, nonché
dell’economicità nell’impiego delle risorse”. Entrambe le leggi
riconoscono alle società di mutuo soccorso il duplice ruolo istitutivo e
gestionale dei fondi sanitari integrativi. Recentemente il Ministro della
Salute, Livia Turco, ha emanato il decreto attuativo in merito agli ambiti di
intervento e all’anagrafe dei fondi integrativi del Ssn.
Perché i fondi possano definitivamente essere resi operativi manca ancora il
decreto ministeriale di regolamentazione. Le società di mutuo soccorso che svolgono
oggi attività sanitaria sono state così definite in uno studio realizzato da Mastrobuono-Pompili: “Organizzazioni
prevalentemente private variamente nominate, che raccolgono risparmio dei
singoli cittadini o di gruppi di cittadini o risparmio di tipo
contrattuale,al fine di fornire prestazioni che integrano quelle assicurate
dal Servizio sanitario nazionale, secondo modalità non orientate al profitto.”
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